613. Gaia Manco

They say: “Inventing my own job” my interview on UncòMag

In this interview I tell how i created my own job of ‘giving voice to stories that matter’.

“Ho scritto, telefonato, mi sono presentata con idee e soluzioni. Mi è andata bene!” La giornalista Gaia Manco racconta la sua storia, dall’Italia al Sud Africa passando per Cina, Francia, UK e Germania

Gaia, ci racconti la tua storia? Quando hai deciso di fare la giornalista?

Partiamo dalla fine: io adesso sono una giornalista multimediale, digital officer, podcaster e formatrice con base a Johannesburg. Lavoro come freelancer per Deutsche Welle, RSI e altri media. Mi occupo di comunicazione per la ricerca scientifica all’Università di Pretoria, creo siti internet che perfino accademici e giornalisti della carta stampata possono usare, e insegno più o meno tutto quello che faccio. Me lo dico da sola, ma mi sa che sono una pioniera del podcast in Italia, con Accidentally in Joburg e Yebo!, su Radio Bullets. Il podcast mi ha aperto le porte del lavoro in italiano, mentre di solito lavoro in inglese.

Il mio è stato un percorso poco lineare. Di una cosa era certa: io mi sono sempre sentita straniera e dopo aver viaggiato con la mia famiglia e da sola, nel 2005, a 22 anni, sono partita. Vivo all’estero da allora. In realtà partii per migliorare il mio cinese a Shanghai, dopo aver finito gli studi in Scienze Umanistiche per la Comunicazione a Milano e il diploma in Cinese. E dopo Shanghai mi sono spostata a Parigi, dove ho studiato relazioni internazionali (MA) nel campus internazionale della University of Westminster.
Poi diversi anni difficili, sempre in Francia: gli interminabili stage e poi finalmente lavori in organizzazioni internazionali (Unesco) e ong, ma che non mi portavano veramente soddisfazione. In più in quel periodo ho sofferto a lungo di depressione.

Avevo abbandonato l’idea di fare la giornalista perché non mi sembrava “abbastanza”. Non potevo che tornarci per essere felice. Ringrazio moltissimo i miei genitori per avermi sostenuta in questa non facile ricerca, anche in senso economico. Non voglio essere ipocrita: mi sono costruita una professione da me, ma anche perché loro, col loro sostegno morale e materiale mi hanno dato tempo e modo di farlo. In tanti non possono permetterselo.

Nel 2010 ho attraversato la Manica per studiare giornalismo multimediale alla Bournemouth University, e ho cominciato a lavorare per grandi e piccoli media (BBC, Al Jazeera) quando ancora studiavo. La necessità mi ha fatto diventare freelancer, non c’erano posti disponibili!

E poi io volevo vivere in Germania, dove la vita mi sembrava più gradevole rispetto all’Inghilterra, e dove il mio allora nuovissimo marito stava finendo il dottorato. Mi sono ritrovata nelle meravigliosa Lipsia, città che abbiamo scelto per il basso costo e l’alta qualità della vita. A Lipsia ho costruito la mia attività di freelancer multiforme, e ho cominciato a offrire servizi di comunicazione alle università, scoprendo di avere un talento nel raccontare in maniera semplice concetti complessi, collaborando con l’ufficio del turismo, insegnando e realizzando i primi reportage e lavorando da producer per DW e BBC e tutti quelli che accettavano le mie proposte, non solo dalla Germania ma anche da Cina e Africa. Io e mio marito viaggiamo molto per lavoro e cerchiamo sempre il modo che uno accompagni l’altra, e viceversa: entrambi lavoriamo ovunque!

Tutto quello che ho fatto in passato, anche gli anni in incertezza e difficoltà, dai 24 ai 27 anni, tutti gli studi diversi in scienze sociali, umane, politiche, e in lingue ora trovano una collocazione proprio nel mio business: “giving voice to stories that matter”. Anche giornalista mi sembra ormai sorpassato: sto appunto adesso cercando di creare un’attività multiforme basata sul prestare la mia voce in senso largo, online e offline, alle storie che vale la pena raccontare.

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